Monday 29 August 2011

Newsletter # 6 - Il velluto dello sguardo di Dunja


Questa volta il rientro a Hong Kong e’ stato arduo. Dopo piu’ di un mese passato fra la Toscana, Narni, Palermo, Marettimo, Trapani e con qualche incursione al nord (Milano, Castiglione del lago e Trento), sono tornata in Asia con un sentimento di grande sconforto e si sono poi avvicendati giorni di profonda nostalgia.   
Ripetutamente mi sono chiesto “Come mai questa volta piu’ di tutte le altre volte??”.
L’estate e’ la stagione trionfale dell’Italia. La cultura del mare, il sole, le granite, la gente del sud e i loro tratti mori, gli sguardi carezzevoli, i sorrisi soavi, una certa frivolezza che esalta tutto il dolce della vita. Perfino Milano mi e’ sembrata voluttuosa quest’estate!
Dopo la permanenza italiana, seducente e maliarda, il rientro a Hong Kong mi ha fatto l’effetto  di un brutale assideramento e, come dicono i siciliani, tutto n’zemmula, ho trascorso giorni interminabili in cui mi comparivano soltanto i difetti di Hong Kong e dei suoi abitanti. Mi accorgevo di cose microscopiche come se avessi avuto una lente di ingrandimento; tutto mi sembrava avverso, deleterio. Non riuscivo a vedere altro, ero tempestata da tutte le loro carenze, tare, vizi, brutte abitudini, lacune, etc. 
La prima cosa che mi e’ passata in mente quando sono arrivata all’aeroporto fu che qui, in generale, (certo non tutti ma) molti maschi (e anche molte donne) sono sgradevoli da guardare, molti del tutto sgraziati. Certo, dopo la Sicilia, l’Asia sembra pallida. Con una tale mescolanza di popoli, la bella Trinacria che ha generato dei visi cosi estetici e dei lineamenti cosi armoniosi, ha sicuramente pochissimi rivali nel mondo.  
Con la mia amica Letizia, siamo abbastanza dispiaciute di questo fatto in particolare perche’ siamo coscienti che la nostra vita quotidiana sarebbe sicuramente molto piu’ gradevole e briosa se ci fosse una quantita’ superiore di persone attraenti. 
Devo dire che molti cantonesi hanno una bella carnagione. Sono scuri e hanno la pelle molto liscia con un aspetto morbido. Purtroppo molti hanno i lineamenti discordanti e sono piuttosto bassi. Per ora, l’uomo piu’ bello che abbiamo visto a Hong Kong e’ sicuramente Sebastian Guevara. E’ un ragazzo argentino che fa il cuoco e che compra cibo alla mia amica Letizia. E’ cosi anomalo vedere un bel ragazzo qui che Letizia ha dovuto portarmi con lei al suo meeting perche‘ vedessi Mr Eccezione e esaminassi la sua qualifica estetica. Ho visto, ho studiato, ho arbitrato: Sebastian ha la pelle abbastanza scura, gli occhi verdi chiari, i tratti del viso delicati, ha un bel fisico atletico ed e’ alto. Certo che a Palermo Sebastian non si nota. Ma a Hong Kong, si nota si! 
Irene, la mia insegnante di spagnolo (ho cominciato a studiare lo spagnolo da poco ma non c’e’ correlazione con Sebastian Guevara, ve lo assicuro) viene da Murcia e vive a Hong Kong da 6 anni. Dice che gli spagnoli non gli sono mai risultati cosi belli da quando vive a Hong Kong. Ogni anno quando torna in Spagna dal suo padre dice che per lei e’ come vedere una sfilata continua di uomini belli. A me l’Italia fa lo stesso effetto, soprattutto la Campania e la Sicilia. A Hong Kong invece....siamo ridotti a Sebastian Guevara. 
Un’altra cosa che ha contribuito al mio avvilimento e’ sicuramente la grande differenza che esiste nel modo di concepire l’amicizia. 
Durante tutta la mia permanenza in Italia mi sono sentita molto accudita, molto coccolata e ho proprio percepito testimonianze di amicizia profonda; esiste una forte emozione intorno a questo sentimento che ha molta importanza, valore e tanta nobilta’. In Italia l’amicizia e’ una cosa seria che ha, nella societa’, uno spazio proprio come la famiglia o l’educazione. E’ una cosa quotidiana: gli amici si vedono o si sentono molto spesso, a volte tutti i giorni. Va di pari passo con la vita sociale: gli amici diventano il vero motivo per fare una vita sociale. Si esce per vedere gli amici; si va a cena per mangiare con gli amici; si va al mare per passare del tempo con gli amici; si cucina un piatto di pasta per gustarlo con gli amici, si prende un caffe’, la granita o il gelato per fare due passi con gli amici, si fanno anche le ferie per ritrovarsi con gli amici. Gli amici si incontrano intorno all’olio nuovo, al vino novello, ai primi funghi porcini della stagione, etc, etc. 
L’amicizia e’ una cosa impegnativa: va coltivata, dimostrata, curata, sviluppata. Uno ci dedica tempo, attenzione, tanto affetto e anche sforzi.
Hong Kong e’ proprio agli antipodi di questa concezione. Qui la gente si giustifica dicendo che lavora tanto e il peso che viene dato all’amicizia e’ vicino allo zero. Grande invenzione lo zero! Mi inchino davanti ai babilonesi, i greci, gli indiani, gli arabi (non ho mai capito chi l’ha inventato e chi l’ha usato per primo) per aver creato e poi inserito nella nostra matematica questa affascinantissima nozione che e’ lo Zero. Certo e’ un concetto complesso da afferrare. Zero e’ il nulla ma non e’ assenza di valore; anzi e’ la testimonianza dell’esistenza stessa di questo valore. Questo e’ piu’ o meno come i cantonesi intendono l’amicizia: si sa che esiste ma gli si attribuisce volontariamente un valore vicino al nulla.
In cantonese amico si dice ‘pan yau’. Loro chiamano ‘pan yau’ piu’ o meno chiunque conoscono (non importa tanto il grado di conoscenza) che non facciano parte della loro famiglia e che gli potrebbero sembrare simpatici, o per lo meno non ostili. Qui di solito hanno due giorni (quasi) di riposo: il sabato pomeriggio e la domenica. Dicono che non hanno tempo per vedere gli amici perche’ la domenica e’ completamente dedicata alla famiglia e il sabato pomeriggio allo shopping e le faccende varie. Ecco il peso accordato all’amicizia: dopo i soldi, dopo il lavoro, dopo la famiglia, dopo lo shopping e dopo le faccende. 
Molte volte ho invitato dei ‘pan yau’ cantonesi a casa per cena e devo dire che e’ piuttosto scoraggiante sentirsi rifiutare inviti molte volte di seguito; dopo il quinto o il sesto rifiuto consecutivo, uno capisce che fondamentalmente c’e’ un abisso che ci separa su questo tema in particolare e bisogna accettare questo divario come una profonda differenza culturale, del tutto concettuale. Ed e’ in questo frangente che uno misura quanto sia difficile essere veramente aperto ed accettare realmente la diversita’. 
Un’ulteriore cosa di cui mi sono accorta con grandissimo dispiacere, e’ che i cantonesi  hanno una totale assenza di sensualita’. Piu’ volte ho sentito Christophe lamentarsi che in Asia le donne non hanno nessun ‘sex appeal’. Dice spesso che gli sembrano frigide, soprattutto a Hong Kong. Penso che quest’ asserzione non mi era mai apparsa cosi limpida. 
Non soltanto sembrano frustrati ma non c’e niente nel loro atteggiamento che sia attraente semplicemente perche’ non hanno nessuna intenzione di sedurre, nessuno. Qui la seduzione non e’ un gioco. Certo che in Italia, da Nord a Sud incluso tutte le isole, promontori, valle, monti, paesini, borgate, frazioni, citta’, riserve naturali, case e botteghe, la seduzione e’ uno sport nazionale. Non penso di conoscere nessuno in Italia che non l’abbia praticato o che non ci sia stato assoggettato. A Napoli anche il ragazzo (frall’altro belloccio) che vende le acciughe e le olive al Vomero ci ha provato. Ti alzi la mattina, vai a comprare il tonno e ci sta che torni con l’amante. In Italia e’ possibile. Perfino il nonno di Veronica, novantaduenne... Sarebbe molto piu’ veloce elencare quelli che non ci provano. Eppure, in tutti questi anni non mi sono mai sentita aggredita, oltreggiata o assalita, anzi. Si vede che in Italia questa disciplina millenaria viene praticata con grande professionalita’. E’ una maestria che si tramanda di generazione in generazione e anche se a volte ci lamentiamo che ci sia troppo poca ottemperenza alle leggi o alle regole, dobbiamo pure ammettere che in materia di seduzione, esiste in Italia un osservanza plenaria, ferrea e incondizionata. Non c’e’ nessuna professione, nessun genere, nessuna classe sociale, nessuna eta’, etnia, specie, progenie, ceppo o razza che non la pratichi. E’ piu’ di una semplice consuetudine, e’ una vera e propria forma d’arte, alla portata di tutti, certo, ma che viene interpretata e reinventata con molta fantasia ogni giorno.
Con mio grande rammarico, in Asia siamo decisamente anni luce da questa suggestiva e gradevolissima poesia quotidiana.
Dopo un fine settimana molto caloroso e affabile dal grande amico Marco Belli, ho preso il treno per tornare a Firenze ed ero seduta nel corridoio fra due scompartimenti. In un paesino dopo Pontedera sali’ un tizio bello, alto ed elgante. Aveva fra i 35 e i 40 anni, bel sorriso ampio e onesto. Mi guardo’ brevemente, sbircio’ attraverso il finestrino per vedere se c’erano posti liberi nello scompartimento (il treno era praticamente vuoto) e scelse di sedersi di fronte a me nel corridoio. Io leggevo un libro di Camilleri e dopo un po’ comincio’ a parlarmi e farmi domande su dove andavo, cosa facevo, etc. Gli spiego’ che tornavo a Firenze e che l’indomani dovevo andare a Roma per prendere l’aereo e tornare a Hong Kong. Mi fece molte domande sulla vita a Hong Kong e mi chiese in che modo i cinesi erano diversi da noi. Nel discorso mi ricordo che gli feci un esempio che lo scombussolo’ un po’ e gli racontai che nel mio palazzo ci sono 4 o 5 ascensori (perche’ e’ un grattacielo) e piu’ di una volta, mi e’ capitato che ho retto la porta per aspettare un mio vicino di casa ma che invece di salire con me, preferii’ usare un’altro ascensore che era libero. Al che lui mi guardo’ dritto negli occhi e mi disse con un splendido sorriso: ‘se io dovessi scegliere fra l’ascensore vuoto o quell’altro, prenderei senza dubbio quello in cui ci sei tu’. Io penso che sia proprio qui che l’oriente e l’occidente non si incontrano!
A Hong Kong l’unico momento in cui si danno da fare per sedurre e’ per trovare marito o moglie. Come ho detto, non e’ un gioco. Questo per loro e’ una tappa molto importante che gli permettera’ di essere accettato nella loro societa’. Qui c’e’ una tale pressione sociale e culturale sullo sposarsi e fare figli che, effettivamente, c’e’ poco da divertirsi. Una volta compiuta la faccenda, la ‘seduzione’ sparisce del tutto e non se ne riparla per tutto il resto della vita terrestre. 
Quando provo a spiegare il nostro modo di concepire la seduzione e l’uso quotidiano che ne facciamo, loro pensano che sia inadeguato e mi fanno tutti la stessa domanda ‘Ma a che cosa vi serve?’. In tutti i libri che leggo sulla Cina (dal novecento fino alla nostra epoca), come popolo vengono sempre descritti come mercantili e pragmatici. Penso siano due nozioni che siano molto collegate. Ed e’ proprio qui, in questa idea dell’ammaliare, del sedurre, del conquistare, che mi rendo conto che esiste una radicale e fondamentale differenza che mi risultera’ difficile accettare e penso forse impossible adottare. 
Se fossi capace, io invece scriverei UN ODE a tutte queste persone che ho incontrato sul treno, al bar, per strada, nell’aereo, nelle feste, al mare, tramite altri amici, tutti quelli da cui mi sono lasciata irretire e di cui i sorrisi invitanti e gli sguardi luminosi mi hanno fatto sentire viva e mi hanno accompagnata ben piu’ di quei pochi istanti evanescenti. 
Incoraggio, in un modo sentito, a procedere e perdurare su questa via dell’incantesimo perche’ non fa nessun danno, anzi rincuora, medica, conforta, scalda, risolleva, rianima, fortifica, consola e in qualche modo tranquilizza e rassicura anche. Ringrazio tutti i sorrisi soavi, le conversazioni piacevoli, i commenti spiritosi, le fossette irresistibili, i lineamenti serafici che ho incrociato quest’estate e sono profondamente afflitta per tutti quelli che, nel mondo, non sapranno mai ricosnoscere ed apprezzare il velluto dello sguardo di Dunya. 
 L'IMPIETRITO E IL VELLUTO
Ho scoperto le barche che molleggiano
Sole, e le osservo non so dove, solo.
Non accadrà le accosti anima viva.
Impalpabile dito di macigno
Ne mostra di nascosto al sorteggiato
Gli scabri messi emersi dall'abisso
Che recano, dondolo nel vuoto,
Verso l'alambiccare
Del vecchissimo ossesso
La eco di strazio dello spento flutto
Durato appena un attimo
Sparito con le sue sinistre barche.
Mentre si avvicendavano
L'uno sull'altro addosso
I branchi annichiliti
Dei cavalloni del nitrire ignari,
Il velluto croato
Dello sguardo di Dunja,
Che sa come arretrarla di millenni,
Come assentarla, pietra
Dopo l'aggirarsi solito
Da uno smarrirsi all'altro,
Zingara in tenda di Asie,
Il velluto dello sguardo di Dunja
Fulmineo torna presente pietà.
Giuseppe Ungaretti, 31 dicembre 1969
Vi auguro una dolce e calorosa fine estate.
Un abbraccio a tutti,
Cri

Thursday 28 April 2011

22 aprile 2011 - Newsletter #5 - Nu cunt e fravl e purtual

Ciao ragazzi,

Eccomi con la mia newsletter che e’ ormai diventata semestrale... Ho trovato l’ispirazione proprio questi giorni perche’ avrei dovuto essere a Tokyo. Invece ci troviamo a Kota Kinabalu, provincia di Sabah in Malesia, sulla costa nord ovest di Borneo. Per via delle recenti vicissitudini in Giappone, abbiamo preferito cambiare destinazione. Ringrazio di cuore Michele per condividere con me i suoi punti di vista e il suo profondo affetto per questo paese e anche Noriko, sua moglie (nonche’ amica), per gli eccellenti piatti giapponesi che mi cucina sempre con amore. Michele e’ cuoco in un ristorante italiano a Hong Kong e ha vissuto e lavorato molti anni in Giappone. Originariamente e‘ di La Spezia ma penso si senta stretto in Italia (soprattutto nell’era berlusconiana...) e percio’ ha viaggiato tanto e dice che e’ di Barcelona (in un certo senso e’ vero e appoggio l’affermazione). Loro sono un po’ la nostra famiglia qui e provo difficolta’ a descriverli in poche parole, come capita per tutte le persone importanti.

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“Sai che la citta’ italiana preferita dei Giapponesi e’ Napoli? Questa non me la spiego bene.” Cosi disse il mio amico Michele un giorno di gennaio 2011.
Sono di quelle frasi che tutti si scordano ma che a me echeggiano nella mia mente per anni. All’inizio questi dettagli hanno in me una risonanza forte e insistente, come se avessero uno spirito che mi chiedesse di indagare il loro significato occulto. Ma penso che in realta’ la facenda sia meno mistica e che io sia semplicemente fatta cosi: mi devo spiegare tutto, deve quadrare tutto. Ecco perche’ certe parole fanno eco fino a quando non me li studio bene, per decifrarle, delucidarle e poi finalmente renderle limpide, cristalline.
Questa mia ossessione vale esclusivamente per i comportamenti umani; forse perche’ e’ una delle cose che mi appassionano di piu’ al mondo.

A febbraio siamo quindi partiti per Kyoto. Per al meno 6 giorni prima del viaggio mi sentivo molto agitata perche’ leggevo la guida del Giappone e intuivo che sarebbe stata un’ esperienza singolare che avrebbe scattato qualcosa nel mio profondo. Dopo tutto, il Giappone e’ famoso per i suoi terremoti.

Siamo arrivati all’aeroporto di Osaka dove abbiamo preso il treno per Kyoto. Siamo andati sul binario e tre persone stavano pulendo il treno e girando i sedili, con grande destrezza, nel senso di marcia. Siamo poi saliti e quando il treno ha lasciato la stazione, i tre adetti alle pulizie erano in linea sul binario e ci salutavano con un cenno della mano. Li capii immediatamente che il nesso Napoli-Giappone forse non sarebbe stato cosi manifesto.
Dopo dieci minuti, si e’ presentata una signorina in divisa all’entrata della nostra carrozza e ha fatto un bel discorso in giapponese. Dopo di che ha fatto tre inchini e si e’ messa a controllare i nostri bigglietti. Una volta controllati tutti i biglietti della carrozza la signorina in divisa e’ tornata alla sua posizione iniziale, ha rifatto un altro discorso, tre inchini e poi e’ andata nella carrozza successiva dove ha fatto un altro discorso ancora.
A ripensarci, dalla prima ora che avevamo messo piede in Giappone, cominciavano gia’ a delinearsi delle caratteristiche culturali: una forte coscienza civile, una societa’ molto organizzata, un’ educazione sostanziosa, una grande delicatezza, un modo molto cortese, solenno e ceremonioso di rivolgersi agli altri. Dopo solo un’ora mi sembrava di essermi infiltrata in una dimensione del tutto ignota e seppi instantaneamente che sarebbe stato uno di quei viaggi che mi avrebbero ‘sconfinata’ e che mi avrebbe portato a ridefinire molti concetti e fatto vacillare certe convinzioni.

Mi ricordo la prima volta che ho mangiato un’ arancia appena raccolta dall’albero. Era in Calabria molti anni fa. Al di la del fatto che quel arancio era ottimo e davvero succulento, la cosa che mi sconvolse di  piu’ fu di capire che era soltanto la prima volta che mangiavo un’ arancia vera e che per 27 anni non avevo fatto altro che mangiare delle arancie fraudolenti. Sono in questi momenti, meravigliosi e dolorosi, che uno sente tutto peso della verita’, e sono proprio questi episodi che ti costringono a ridefinire idee e valutazioni.
Direi che il Giappone e’ un po’ come l’arancia calabrese, ti obbliga a riconsiderare del tutto certe nozioni, anche quelle piu’ intime e essenziali.

La prima cosa che il Giappone mi abbia aiutato a calibrare fu la mia definizione della raffinatezza. Se dovesse scegliere un solo aggettivo per descrivere al meglio questo paese forse sarebbe proprio quello. Tutto cio’ che mangi, odori, vedi, visiti e’ sempre delicato, cosi grazioso che ti sembra un peccato ingoiarlo, toccarlo, calpestarlo o solo spostarlo. Ogni volta che compri qualcosa in un negozio te lo incartano cosi bene con un pacchettino cosi squisito che lo vorresti tenere cosi, senza mai aprirlo. I loro pasticcini ad esemprio sono fini, sempre serviti su dei piattini semplici ma molto eleganti, con sotto delle tovaglie molto preziose e cosi fanno per tutto. Il loro stile e’ molto curato, sottile, distinto, quasi aristocratico.
In tutto cio’ che fanno ci mettono una tale attenzione, cosi tanta applicazione, che trasformano ogni cosa in una ceremonia. Da nessun’altra parte nel mondo mi ero mai sentita una principessa solo a bere un te’ o a mangiare una frutta. In Giappone capita ogni giorno. Vivono le cose aggiungendo una dimensione molto cerebrale e cosi nascono le ceremonie.
E’ come se la ceremonia fosse per loro un modo degno di ringraziare il cielo, la terra, Dio, le stelle e l’universo per quello che offrono in quell’epoca precisa.

Nella loro cucina, forse il culmine della raffinatezza l’abbiamo esperimentata durante un pranzo e una cena ‘Kaiseki’. La tradizione ‘Kaiseki’ e’ (come tutto in Giappone) secolare ed e’ una forma di vera e propria arte culinaria che tiene in conto il gusto degli ingredienti, la loro consistenza, il loro aspetto e il loro colore. La cucina Kaiseki e’ spesso regionale e soprattutto stagionale perche’ gli ingredienti sono cucinati per esaltare al massimo il loro sapore. Le porzioni sono piccole ma le pietanze sono numerosi e la loro presentazione e’ cosi ricercata che e’ un vero spettacolo anche per la vista. I sensi raggiungono un equilibrio perfetto e tutta l’esperienza diventa un incontro con l’eccellenza, con un apice culinaria.
Inoltre a quel vertice, la scelta degli ingredienti e’ fondamentale e quando servono due fragole, uno potrebbe rimanerci male perche’ con il prezzo pagato sarebbe legittimo aspettarsi un dessert piu’ soffisticato. Invece no. Perche’ quando uno assaggia quella fragola, si rende subito conto che non e’ una fragola, e’ LA fragola. Quella che ti fa riflettere ex novo sul concetto di fragola, quella che ti impone una nuova definizione del gusto della fragola, quella che rimette in questione tutte le altre fragole della tua vita.

Questa fragola mi porta ad un’altra nuova e direi essenziale rivalutazione: la perfezione. Prima del Giappone, ho sempre pensato che la perfezione fosse un concetto che ci indicasse soltanto una strada ed ero convinta che in se e per se, la perfezione non esistesse. Raggiungere la perfezione e’ sempre stato per me un po’ come incontrare per caso l’uomo piu’ affascinante dell’universo in ascensore la mattina mentre si va a lavorare. Momenti assai improbabili ma di cui la sola prospettiva ci spinge comunque a fare del nostro meglio. Fu proprio in Giappone che scoprii che li la perfezione non era una cosa occasionale verso la quale si punta soltanto in rari aspetti della vita quotidiana; li la perfezione e’ la media e si applica in tutto, ogni giorno.
Il mio amico Michele che e’ cuoco e che ha vissuto in Giappone per molti anni, dice che e’ appunto questo canone che l’ha fatto un po’ patire al livello lavorativo. Mi ha spiegato che loro sono capaci di considerare una persona con trent’anni di esperienza come un apprendista. Come se avessero un codice d’onore nel tagliare il pesce, preparare il soba, bere il te’, servire okonomiyaki o imbottigliare il sake. Sembra che ogni cosa che fanno sia spinto da questa grazia celeste. Mentre eravamo a Kyoto si scherzava molto con questa tematica e ci immaginavamo rimandare un piatto in cucina dicendo che non era buono, anzi, che era mediocre!! Penso che il cuoco, l’aiuto cuoco, i tre comis assieme al proprietario del ristorante e i camerieri si sarebbero scusati facendo una miriade di inchini per poi sparire in cucina e farsi hara kiri.

Un altra osservazione alla quale mi porta sempre la mia solita fragola e’ questo grande equilibrio fra semplicita’ e bellezza, uno stile del tutto depurato che comporta pero’ un’eleganza estrema. I Giapponesi hanno, secondo me, un grande senso dell’estetismo.
Un giorno siamo andati a prendere il te’ nel vecchio quartiere di Gion, in un posto moderno ma che rispetta molto lo stile giapponese locale (il posto si chiama OKU, per quelli che ci devono ancora andare): una casa antica di legno, l’entrata con le tende, il percorso con le pietre e poi una sala da te’ moderna  e in fondo una vetrata con, ovviamente, il giardino zen. Mi ha colpito la sala: otto tavoli di legno massiccio chiaro, delle sedie ricoperte di velluto color viola, i muri beige, senza quadri, in fondo la vetrata che da sul giardino zen. Mi sono guardata intorno e mi sono chiesto com’era possibile che un posto quasi vuoto fosse cosi armonioso, e cosi raffinato. Loro hanno veramente l’arte di esplorare l’essenzialita’ e di estrarne una profonda eleganza.

Questa sala da te’ e’ anche una figura allegorica per un’ altra simmetria eccentrica che ho notato spesso durante la vacanza: un continuo accostamento fra modernita’ e tradizione. Devo ammettere che a distanza di due mesi, e’ un concetto che mi meraviglia tutt’ora ogni volta che ci penso. Forse perche’ a Hong Kong, e peggio ancora, nel resto della Cina, sono proprio agli antipodi del Giappone. In Cina e’ rimasto molto poco del passato e delle tradizioni. Ogni volta mi accorgo che buttano giu’ interi quartieri e palazzi di Beijing o di Shanghai per costruire qualcosa di nuovo e di piu’ alto che ha il compito di fare soldi. Le loro tradizioni fanno spesso la stessa fine. Il Giappone invece ha tutto un altro approccio e mantegono molti costumi secolari o millenari con una certa dignita’ e un grande senso dell’onore.

Ormai l’avrete capito: provo fascino per questo paese... “mi sono lasciata irretire”, diceva Paolo Conte . Potrei continuare all’infinito di parlare del cibo che abbiamo assaggiato, delle montagne intorno a Kyoto, dei templi, del silenzio, della loro contemplazione della natura, delle geishe che si vedono per i quartieri antichi, dei ryokan, degli onsen o, come me lo faceva notare Michele ancora oggi, della loro cultura “kawaii”... ma se faccio la somma delle cose che abbiamo visto, assaggiato, visitato, esperimentato, direi che la cosa che mi rimane piu impressa e’ questa decisa e vivida volonta’ di allontanarsi il piu’ possibile dalla mediocrita’. Quindi con tutto il cuore, vi auguro di poterci andare un giorno.

Poco dopo il nostro bellissimo viaggio in Giappone, sono andata in Italia. Il piu’ nord che sono riuscita ad andare e’ stato Narni, in Umbria. Quando dico che sono stata venduta al Sud Italia, il mio amico Michele dice ‘ Si, ma per pochi spiccioli...’ Io mi sento sicula, c’e’ poco da fare. Le altre tappe erano Grottaferrata e ... Napoli.

Ci potrebbero essere piu’ motivi per cui i Giapponesi preferiscono Napoli.
A primo impatto direi che Napoli e’ diversa dal Giappone (vi rassicuro, e’ un eufemismo) nell’organizzazione, nella precisione, nella costante ricerca della perfezione e forse e’ proprio questa dissomiglianza che potrebbe essere un motivo di grande attrazione. I Giapponesi vivono nell’ordine ma in fondo hanno dei desideri di trasgressione e di babilonia. Forse semplicemente perche’ Napoli e’ di una grande bellezza. Chi lo sa?
In siciliano, guardare si dice ‘taliare’. Loro non si accontentano di guardare, loro guardano, si, ma con fervore. Be’, anche a Napoli “taliano”.
Io ho capito da molti anni perche’ il sud Italia opera su di me come una forza di gravita’. Napoli ha, come la Sicilia, un irrefrenabile energia, un irresistibile veemenza che ti trasporta quasi fuori da te stessa; una frenesia travolgente che ti potrebbe fatalmente portare via, ma con volutta’, con sensualita’ e grande poesia. A me il Sud fa sentire viva ed e’ forse quest’ardore che manca in Asia. Ma forse e’ meglio cosi, qui faccio meno danni.

Con furore (come dice Federica) e buona Pasqua a tutti

Cric
Vi saluta Croc
PS: Luise: Grazie mille per la traduzione del titolo e FORZA NAPOLI!!!!
Ecco il link per guardare le foto: http://www.facebook.com/media/set/fbx/?set=a.10150136719611414.327746.710031413&l=863a8f8ab2