Thursday 28 April 2011

22 aprile 2011 - Newsletter #5 - Nu cunt e fravl e purtual

Ciao ragazzi,

Eccomi con la mia newsletter che e’ ormai diventata semestrale... Ho trovato l’ispirazione proprio questi giorni perche’ avrei dovuto essere a Tokyo. Invece ci troviamo a Kota Kinabalu, provincia di Sabah in Malesia, sulla costa nord ovest di Borneo. Per via delle recenti vicissitudini in Giappone, abbiamo preferito cambiare destinazione. Ringrazio di cuore Michele per condividere con me i suoi punti di vista e il suo profondo affetto per questo paese e anche Noriko, sua moglie (nonche’ amica), per gli eccellenti piatti giapponesi che mi cucina sempre con amore. Michele e’ cuoco in un ristorante italiano a Hong Kong e ha vissuto e lavorato molti anni in Giappone. Originariamente e‘ di La Spezia ma penso si senta stretto in Italia (soprattutto nell’era berlusconiana...) e percio’ ha viaggiato tanto e dice che e’ di Barcelona (in un certo senso e’ vero e appoggio l’affermazione). Loro sono un po’ la nostra famiglia qui e provo difficolta’ a descriverli in poche parole, come capita per tutte le persone importanti.

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“Sai che la citta’ italiana preferita dei Giapponesi e’ Napoli? Questa non me la spiego bene.” Cosi disse il mio amico Michele un giorno di gennaio 2011.
Sono di quelle frasi che tutti si scordano ma che a me echeggiano nella mia mente per anni. All’inizio questi dettagli hanno in me una risonanza forte e insistente, come se avessero uno spirito che mi chiedesse di indagare il loro significato occulto. Ma penso che in realta’ la facenda sia meno mistica e che io sia semplicemente fatta cosi: mi devo spiegare tutto, deve quadrare tutto. Ecco perche’ certe parole fanno eco fino a quando non me li studio bene, per decifrarle, delucidarle e poi finalmente renderle limpide, cristalline.
Questa mia ossessione vale esclusivamente per i comportamenti umani; forse perche’ e’ una delle cose che mi appassionano di piu’ al mondo.

A febbraio siamo quindi partiti per Kyoto. Per al meno 6 giorni prima del viaggio mi sentivo molto agitata perche’ leggevo la guida del Giappone e intuivo che sarebbe stata un’ esperienza singolare che avrebbe scattato qualcosa nel mio profondo. Dopo tutto, il Giappone e’ famoso per i suoi terremoti.

Siamo arrivati all’aeroporto di Osaka dove abbiamo preso il treno per Kyoto. Siamo andati sul binario e tre persone stavano pulendo il treno e girando i sedili, con grande destrezza, nel senso di marcia. Siamo poi saliti e quando il treno ha lasciato la stazione, i tre adetti alle pulizie erano in linea sul binario e ci salutavano con un cenno della mano. Li capii immediatamente che il nesso Napoli-Giappone forse non sarebbe stato cosi manifesto.
Dopo dieci minuti, si e’ presentata una signorina in divisa all’entrata della nostra carrozza e ha fatto un bel discorso in giapponese. Dopo di che ha fatto tre inchini e si e’ messa a controllare i nostri bigglietti. Una volta controllati tutti i biglietti della carrozza la signorina in divisa e’ tornata alla sua posizione iniziale, ha rifatto un altro discorso, tre inchini e poi e’ andata nella carrozza successiva dove ha fatto un altro discorso ancora.
A ripensarci, dalla prima ora che avevamo messo piede in Giappone, cominciavano gia’ a delinearsi delle caratteristiche culturali: una forte coscienza civile, una societa’ molto organizzata, un’ educazione sostanziosa, una grande delicatezza, un modo molto cortese, solenno e ceremonioso di rivolgersi agli altri. Dopo solo un’ora mi sembrava di essermi infiltrata in una dimensione del tutto ignota e seppi instantaneamente che sarebbe stato uno di quei viaggi che mi avrebbero ‘sconfinata’ e che mi avrebbe portato a ridefinire molti concetti e fatto vacillare certe convinzioni.

Mi ricordo la prima volta che ho mangiato un’ arancia appena raccolta dall’albero. Era in Calabria molti anni fa. Al di la del fatto che quel arancio era ottimo e davvero succulento, la cosa che mi sconvolse di  piu’ fu di capire che era soltanto la prima volta che mangiavo un’ arancia vera e che per 27 anni non avevo fatto altro che mangiare delle arancie fraudolenti. Sono in questi momenti, meravigliosi e dolorosi, che uno sente tutto peso della verita’, e sono proprio questi episodi che ti costringono a ridefinire idee e valutazioni.
Direi che il Giappone e’ un po’ come l’arancia calabrese, ti obbliga a riconsiderare del tutto certe nozioni, anche quelle piu’ intime e essenziali.

La prima cosa che il Giappone mi abbia aiutato a calibrare fu la mia definizione della raffinatezza. Se dovesse scegliere un solo aggettivo per descrivere al meglio questo paese forse sarebbe proprio quello. Tutto cio’ che mangi, odori, vedi, visiti e’ sempre delicato, cosi grazioso che ti sembra un peccato ingoiarlo, toccarlo, calpestarlo o solo spostarlo. Ogni volta che compri qualcosa in un negozio te lo incartano cosi bene con un pacchettino cosi squisito che lo vorresti tenere cosi, senza mai aprirlo. I loro pasticcini ad esemprio sono fini, sempre serviti su dei piattini semplici ma molto eleganti, con sotto delle tovaglie molto preziose e cosi fanno per tutto. Il loro stile e’ molto curato, sottile, distinto, quasi aristocratico.
In tutto cio’ che fanno ci mettono una tale attenzione, cosi tanta applicazione, che trasformano ogni cosa in una ceremonia. Da nessun’altra parte nel mondo mi ero mai sentita una principessa solo a bere un te’ o a mangiare una frutta. In Giappone capita ogni giorno. Vivono le cose aggiungendo una dimensione molto cerebrale e cosi nascono le ceremonie.
E’ come se la ceremonia fosse per loro un modo degno di ringraziare il cielo, la terra, Dio, le stelle e l’universo per quello che offrono in quell’epoca precisa.

Nella loro cucina, forse il culmine della raffinatezza l’abbiamo esperimentata durante un pranzo e una cena ‘Kaiseki’. La tradizione ‘Kaiseki’ e’ (come tutto in Giappone) secolare ed e’ una forma di vera e propria arte culinaria che tiene in conto il gusto degli ingredienti, la loro consistenza, il loro aspetto e il loro colore. La cucina Kaiseki e’ spesso regionale e soprattutto stagionale perche’ gli ingredienti sono cucinati per esaltare al massimo il loro sapore. Le porzioni sono piccole ma le pietanze sono numerosi e la loro presentazione e’ cosi ricercata che e’ un vero spettacolo anche per la vista. I sensi raggiungono un equilibrio perfetto e tutta l’esperienza diventa un incontro con l’eccellenza, con un apice culinaria.
Inoltre a quel vertice, la scelta degli ingredienti e’ fondamentale e quando servono due fragole, uno potrebbe rimanerci male perche’ con il prezzo pagato sarebbe legittimo aspettarsi un dessert piu’ soffisticato. Invece no. Perche’ quando uno assaggia quella fragola, si rende subito conto che non e’ una fragola, e’ LA fragola. Quella che ti fa riflettere ex novo sul concetto di fragola, quella che ti impone una nuova definizione del gusto della fragola, quella che rimette in questione tutte le altre fragole della tua vita.

Questa fragola mi porta ad un’altra nuova e direi essenziale rivalutazione: la perfezione. Prima del Giappone, ho sempre pensato che la perfezione fosse un concetto che ci indicasse soltanto una strada ed ero convinta che in se e per se, la perfezione non esistesse. Raggiungere la perfezione e’ sempre stato per me un po’ come incontrare per caso l’uomo piu’ affascinante dell’universo in ascensore la mattina mentre si va a lavorare. Momenti assai improbabili ma di cui la sola prospettiva ci spinge comunque a fare del nostro meglio. Fu proprio in Giappone che scoprii che li la perfezione non era una cosa occasionale verso la quale si punta soltanto in rari aspetti della vita quotidiana; li la perfezione e’ la media e si applica in tutto, ogni giorno.
Il mio amico Michele che e’ cuoco e che ha vissuto in Giappone per molti anni, dice che e’ appunto questo canone che l’ha fatto un po’ patire al livello lavorativo. Mi ha spiegato che loro sono capaci di considerare una persona con trent’anni di esperienza come un apprendista. Come se avessero un codice d’onore nel tagliare il pesce, preparare il soba, bere il te’, servire okonomiyaki o imbottigliare il sake. Sembra che ogni cosa che fanno sia spinto da questa grazia celeste. Mentre eravamo a Kyoto si scherzava molto con questa tematica e ci immaginavamo rimandare un piatto in cucina dicendo che non era buono, anzi, che era mediocre!! Penso che il cuoco, l’aiuto cuoco, i tre comis assieme al proprietario del ristorante e i camerieri si sarebbero scusati facendo una miriade di inchini per poi sparire in cucina e farsi hara kiri.

Un altra osservazione alla quale mi porta sempre la mia solita fragola e’ questo grande equilibrio fra semplicita’ e bellezza, uno stile del tutto depurato che comporta pero’ un’eleganza estrema. I Giapponesi hanno, secondo me, un grande senso dell’estetismo.
Un giorno siamo andati a prendere il te’ nel vecchio quartiere di Gion, in un posto moderno ma che rispetta molto lo stile giapponese locale (il posto si chiama OKU, per quelli che ci devono ancora andare): una casa antica di legno, l’entrata con le tende, il percorso con le pietre e poi una sala da te’ moderna  e in fondo una vetrata con, ovviamente, il giardino zen. Mi ha colpito la sala: otto tavoli di legno massiccio chiaro, delle sedie ricoperte di velluto color viola, i muri beige, senza quadri, in fondo la vetrata che da sul giardino zen. Mi sono guardata intorno e mi sono chiesto com’era possibile che un posto quasi vuoto fosse cosi armonioso, e cosi raffinato. Loro hanno veramente l’arte di esplorare l’essenzialita’ e di estrarne una profonda eleganza.

Questa sala da te’ e’ anche una figura allegorica per un’ altra simmetria eccentrica che ho notato spesso durante la vacanza: un continuo accostamento fra modernita’ e tradizione. Devo ammettere che a distanza di due mesi, e’ un concetto che mi meraviglia tutt’ora ogni volta che ci penso. Forse perche’ a Hong Kong, e peggio ancora, nel resto della Cina, sono proprio agli antipodi del Giappone. In Cina e’ rimasto molto poco del passato e delle tradizioni. Ogni volta mi accorgo che buttano giu’ interi quartieri e palazzi di Beijing o di Shanghai per costruire qualcosa di nuovo e di piu’ alto che ha il compito di fare soldi. Le loro tradizioni fanno spesso la stessa fine. Il Giappone invece ha tutto un altro approccio e mantegono molti costumi secolari o millenari con una certa dignita’ e un grande senso dell’onore.

Ormai l’avrete capito: provo fascino per questo paese... “mi sono lasciata irretire”, diceva Paolo Conte . Potrei continuare all’infinito di parlare del cibo che abbiamo assaggiato, delle montagne intorno a Kyoto, dei templi, del silenzio, della loro contemplazione della natura, delle geishe che si vedono per i quartieri antichi, dei ryokan, degli onsen o, come me lo faceva notare Michele ancora oggi, della loro cultura “kawaii”... ma se faccio la somma delle cose che abbiamo visto, assaggiato, visitato, esperimentato, direi che la cosa che mi rimane piu impressa e’ questa decisa e vivida volonta’ di allontanarsi il piu’ possibile dalla mediocrita’. Quindi con tutto il cuore, vi auguro di poterci andare un giorno.

Poco dopo il nostro bellissimo viaggio in Giappone, sono andata in Italia. Il piu’ nord che sono riuscita ad andare e’ stato Narni, in Umbria. Quando dico che sono stata venduta al Sud Italia, il mio amico Michele dice ‘ Si, ma per pochi spiccioli...’ Io mi sento sicula, c’e’ poco da fare. Le altre tappe erano Grottaferrata e ... Napoli.

Ci potrebbero essere piu’ motivi per cui i Giapponesi preferiscono Napoli.
A primo impatto direi che Napoli e’ diversa dal Giappone (vi rassicuro, e’ un eufemismo) nell’organizzazione, nella precisione, nella costante ricerca della perfezione e forse e’ proprio questa dissomiglianza che potrebbe essere un motivo di grande attrazione. I Giapponesi vivono nell’ordine ma in fondo hanno dei desideri di trasgressione e di babilonia. Forse semplicemente perche’ Napoli e’ di una grande bellezza. Chi lo sa?
In siciliano, guardare si dice ‘taliare’. Loro non si accontentano di guardare, loro guardano, si, ma con fervore. Be’, anche a Napoli “taliano”.
Io ho capito da molti anni perche’ il sud Italia opera su di me come una forza di gravita’. Napoli ha, come la Sicilia, un irrefrenabile energia, un irresistibile veemenza che ti trasporta quasi fuori da te stessa; una frenesia travolgente che ti potrebbe fatalmente portare via, ma con volutta’, con sensualita’ e grande poesia. A me il Sud fa sentire viva ed e’ forse quest’ardore che manca in Asia. Ma forse e’ meglio cosi, qui faccio meno danni.

Con furore (come dice Federica) e buona Pasqua a tutti

Cric
Vi saluta Croc
PS: Luise: Grazie mille per la traduzione del titolo e FORZA NAPOLI!!!!
Ecco il link per guardare le foto: http://www.facebook.com/media/set/fbx/?set=a.10150136719611414.327746.710031413&l=863a8f8ab2

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