Thursday 29 March 2012

Newsletter # 7 - Come un profumo di papaia - versione italiana

Lo so sono passati mesi dall’ultima newsletter. Non mi viene spesso la voglia di scrivere. Io vado, sento, vivo, vengo stravolta, mi incanto, a volte mi innamoro e poi scrivo. Se non mi sento conquistata, che cosa devo scrivere?
Cominciamo con le notizie. Penso che la più importante sia il fatto che abbia ripreso a lavorare. Lavoro per un’azienda di Hong Kong che produce capi d’abbigliamento per grandi marchi tipo Brooks Brothers, Burberry, etc. L’azienda si chiama TAL Group e li aiuto a ridurre il loro impatto sociale e ambientale. Faccio quindi esattamente lo stesso lavoro di prima solo che non sono più consulente ma impiegata direttamente da loro e di conseguenza, lavoro solo per loro. L’azienda ha 12 impianti di produzione sparsi nel sud est asiatico (Vietnam, Malesia, Indonesia, Thailandia, Cina) con 24,000 dipendenti e io lavoro nei loro uffici di Hong Kong. Dopo due anni di vita da principessa, sono di nuovo qua fra aeroporti, alberghi, scrivere email fino a tardi, calpestare il suolo delle fabbriche e sentire l’odore del caldo umido del sud est asiatico. Ovviamente le cose importanti ormai vengono dopo, quasi per ultimo. Questo e’ la regola, uno non può avere tutto; se fa una cosa impegnativa da un lato, deve rinunciare ad altre perché il tempo e lo spazio non sono compressibili. Brutta regola. 
Da quando ho ripreso a lavorare ho passato molto tempo sull’isola di Penang in Malesia. La Malesia e’ un paese interessante perché e’ costituito da più etnie: i malesi, i cinesi e gli indiani. Tutti sono, si sentono e si fanno chiamare Malesiani ma hanno origini diverse. I Malesi sono un gruppo etnico, i Malesiani sono tutti i cittadini della Malesia. L’etnia più grande dopo quella malese e’ quella cinese. A pensare che i Cinesi sono 1.3 miliardi in Cina ma chissà quanti altri milioni vivono fuori. La maggior parte della gente in Malesia parla malese (che e’ in realtà la lingua indonesiana) e inglese (che sono le due lingue ufficiali) ma la maggioranza dell’etnia cinese parla Hokkien (un dialetto cinese del Fujian), mandarino e anche cantonese; e passano da una lingua all’altra con grande agilità. L’inglese malesiano e’ strano, hanno un accento molto distintivo e ormai mi diverto anche ad imitarlo. 
Il cibo e’ molto importante per loro e passano il loro tempo a mangiare piatti locali e a bere bevande molto interessanti di tanti colori. Più volte al giorno vanno a mangiare in posti molto semplici che chiamano ‘food court’. Il sistema del food court e’ semplice: sono tanti ristorantini attigui che condividono tavolini e sedie. Ogni ristorantino e’ ultra specializzato e uno può ordinare cibo in più posti. Usano questi food court a colazione, pranzo, cena e ogni volta che hanno fame (cioè circa ogni due ore). Il menu delle bevande e’ lungo quanto quello del cibo e bevono tantissimi succhi di frutta e tanto caffe’ freddo. Non hanno la cultura del te’ o delle bevande calde come Hong Kong e la Cina. Ho assaggiato moltissimi piatti cino-malesiani, malesi e indiani ma la cosa che mi ha colpito di più e con la quale abbiamo scherzato moltissimo e’ la loro papaia. Prima di capitare a Penang, ho sempre pensato che la papaia (un frutto arancione che ha una sostanza simile al melone) fosse noiosa e senza gusto. Penso che la papaia malesiana mi abbia dimostrato matematicamente il contrario. La papaia malesiana (quella piccola perché ce ne sono di vari tipi) ha un bellissimo colore arancione acceso, e’ succosa, e’ indubbiamente gustosa, e’ molto dolce e la sua fragranza e’ memorabile. Sono qualche settimana da questa parte che porto in palma di mano questa papaia e se fossi capace scriverei un haiku giapponese per osannarla e celebrarla quanto lo meriterebbe. Per me ormai, conta e esiste solo la papaia malesiana.
In Malesia sono i Malesi che possiedono il potere politico. Secondo la loro costituzione, i malesi sono tutti musulmani e la politica e la legge danno palesemente la precedenza a questo gruppo e a questa religione. I miei colleghi mi hanno dato una miriade di esempi che illustrano questa disparità. I malesi musulmani sono i soli ad avere pieni diritti civili e politici e gli altri gruppi etnici e religiosi devono accontentarsi e sopratutto scendere a compromessi per mantenere la pace. La prima volta che sono stata a Penang, a Febbraio di quest’anno, sono capitata in mezzo ad una festività indiana: Thaipusam. Davanti ai templi vendevano molte noci di cocco che uno deve comprare e spaccare per terra. Più ne compri, più ne spacchi e più sei al sicuro perché sarai protetto da un dio induista, Lord Muruga. C’era musica in tutte le strade ma all’improvviso si e’ fermato tutto. Mi hanno spiegato che durante le festività cinesi e indiane, i musulmani non tollerano che facciano rumore occupando gli spazi pubblici e li costringono a chiedere permessi di ogni tipo e rispettare orari precisi per non disturbare troppo. Ovviamente questo non vale durante le feste musulmane oppure per l’imam che urla i suoi canti religiosi nel microfono alle 5 del mattino ogni giorno in tutte le moschee sparse per la città. 

I cinesi invece detengono il potere economico. La loro emigrazione in Malesia risale alle attività commerciali navali che accadevano nel mare del sud est asiatico nel '400, durante la dinastia Ming. All’epoca molti mercanti navali cinesi si sono stabiliti nelle zone portuali della Malesia, soprattutto intorno a Malacca, Penang e Singapore. I più famosi sono i ‘Peranakan’ che vengono anche chiamati ‘Babas’ (i maschi) o ‘Nyonyas’ (le femmine). Loro erano cinesi ricchi e colti, simboli della Cina Imperiale, e si mischiavano molto alla popolazione malese perché fino all‘800 la legge cinese impediva alle donne di lasciare il loro paese quindi i commercianti che non si potevano portare dietro donne o mogli erano costretti a sposare donne locali. Da queste unioni sono nati lineamenti interessanti, cinesi con la pelle scura e tratti leggermente diversi ma anche una lingua (il Baba Malay), una cucina e tutta una cultura originale e affascinante. 
Quando gli inglesi hanno colonizzato Singapore all’inizio del 900, molti Peranakan si sono trasferiti li per motivi economici e commerciali e si sono sempre sentiti molto al loro agio con gli europei e il modo europeo di fare affari. I Peranakan hanno sempre avuto rapporti molto stretti con il governo inglese coloniale e hanno sempre dimostrato grande fede e dedizione alla corona britannica.
L’isola di Penang e’ popolata essenzialmente da Malesiani di origine cinese. Non sono tutti di origine Peranakan. Durante l‘800 e il 900, ci sono stati molte onde di emigranti cinesi che scappavano tempi difficili e cercavano una vita migliore. La Malesia e’ stata un’importante terra di esilio per loro e ormai e’ diventata loro, provano un senso di forte appartenenza e vedono la Cina di oggi come un paese estero con il quale non hanno più nessun legame. 
Durante un week end che ho dovuto passare a Penang, sono andata a visitare il ‘Peranakan Museum’. Certo che questi Peranakan hanno poco a che fare con i cinesi moderni che conosco io. Sembravano così raffinati, quasi giapponesi! La ceramica, i mobili, i tessuti pregiati, le loro scarpe bellissime tutte fatte a mano, i ricami, i dipinti, i gioielli, le cinture d’oro e d’argento che sembrano opere d’arte, i letti chiusi di stile indonesiano, le lampade di vetro soffiato, le borse ricamate. Quanta delicatezza, grazia e sofisticazione! Esattamente tutto ciò che la Cina comunista ha buttato nella spazzatura, la tristissima fine dell’epoca imperiale e di quello che era una delle più grandi culture del mondo. Da quando sono arrivata a Hong Kong sono ossessionata dal pensiero che possa sparire tutto nel giro di poco tempo. E come se in 50 anni l’Italia lasciasse crollare Pompei (ah già...), buttasse giù il Duomo di Firenze per costruirci un paio di torri moderne con centri commerciali e vendesse il Palazzo Normanno di Palermo a Disney per farci un parco. Come se all’improvviso sparisse l’interesse per il nostro passato, la nostra voglia di tenere le cose preziose e di ammirare il bello. Come se ci venisse a noia di cucinare e di mangiare bene e che all’improvviso sviluppassimo un gusto per il cibo scarso. Come se volessimo sostituire il nostro gusto per la bellezza con un senso pratico esagerato che non lascerebbe più nessuno spazio all’armonia e lo stile. Per me e’ una visione di orrore; eppure per la Cina e’ andata così. 
Durante queste ultime settimane, ho rivalutato del tutto la mia concezione dei rapporti umani in Asia. Sono stata a contatto stretto con persone che vengono da diverse parti del sud est asiatico e devo ammettere che mi hanno fatto riflettere molto sui tipi di rapporti che noi europei possiamo riuscire ad avere qui, sulle mie aspettative e penso di avere intravisto anche la possibilità di poter realizzarsi da un punto di vista sociale e umano. Mentre prima non vedevo la luce nel tunnel, ora mi sento più rassicurata e piena di speranze. 
Queste ultime settimane ho passato molto tempo nella nostra fabbrica di Penang e poi ho viaggiato molto con un gruppo di colleghi malesiani di origine cinese per visitare tutti i nostri impianti di produzione. Posso dire per certo che sono socievoli, molto sorridenti e non riesco ancora a capire del tutto perché ma di mentalità mi sono vicini. 
Una delle cose che mi ha colpito per primo a Penang e’ che gli uomini e le donne si osservano e danno cenni di apprezzamento mutuo. Si fanno dei complimenti sul loro fisico, sulla loro apparenza, sul loro carattere, si guardano molto, si sorridono, scherzano, giocano molto con le situazioni e corteggiano piacevolmente senza essere fastidiosi. Cercano sempre di conoscerti, di parlarti e si interessano. I loro codici sono per me chiari, molto simili ai nostri e credo che sia per loro più un modo di essere piuttosto che una vera volontà di ‘assedio’! Questa freschezza, questa leggerezza rende il quotidiano dolce e gradevole e non potete capire quanto possa ravvivare! Ovviamente non siamo ai livelli siculi o napoletani, e’ una versione asiatica più edulcorata ma comunque sia...sollazza!
Ho notato che valutano l’amicizia, sono molto scherzosi e la cosa più allucinante (per me che vivo a Hong Kong fra gli Hong Kong-esi piuttosto distanti), e’ che scherzano come noi. Una grande parte del senso dell’umorismo e’ una cosa culturale, non e’ universale. Una parte e’ fatta di codici e filtri ereditati dalla nostra cultura. I cantonesi a Hong Kong scherzano molto con le parole e la pronuncia; i Malesiani scherzano con gli atteggiamenti, le situazioni, il sesso (soprattutto), l’amicizia, i rapporti, le abitudini. 
Con i miei colleghi abbiamo avuto conversazioni molto profonde sulla vita, l’amore, i rapporti interpersonali, le nostre differenze culturali e devo ammettere che mi riscalda molto il cuore perché una tale profondità non mi era mai capitata con gli asiatici questi ultimi due anni. Penso sia stata la prima volta che abbia incontrato tutto un gruppo di persone che vive ancora in un modo non troppo standardizzato, gente non conforme, con l’ambizione e l’ideale diversi da quello di diventare semplicemente ricchi. Abbiamo passato molte ore assieme in macchina, negli aerei, aeroporti, dopo le nostre giornate lavorative e mi sono stupita dal loro tipo di umorismo, lo spessore e l'intensità dei loro racconti di vita. Alcune conversazioni erano molto emozionanti ed abbiamo parlato a lungo della vita, le sue delicatezze, le sue amarezze e le sue contraddizioni, le nostre debolezze, i nostri affetti, i nostri amori veri e sognati, i nostri valori morali e sociali e la loro inconciliabilità con le nostre vite o i nostri istinti. Per la prima volta da quando vivo in Asia ho avuto il sentimento di non dover fare nessuno sforzo per adeguarmi e di condividere qualcosa di intimo con persone autentiche. Mi sono davvero meravigliata da questo popolo, profondamente diverso dagli Hong Kongesi e i Cinesi venali e pragmatici. Mi hanno riconciliata con la mia vita orientale e, in qualche modo, mi hanno ridato fiducia nei rapporti umani in questa parte del mondo.
Mentre si attraversava la Thailandia o l’Indonesia, mi sono tornati in mente le nostre conversazioni profonde, commoventi e naturali che condivido sempre con voi tutti, cari amici, ogni volta che ci si incontra... perché se vi arriva questa newsletter, un motivo ci sarà!
Mi sono sentita molto a casa, molto coccolata da questi pensieri elevati e per la prima volta in Asia, mi sono sentita considerata per quello che sono io, dentro, nel mio profondo. E questo, penso che sia, inconfutabilmente, l’unico motivo veramente valido per mandarvi questa newsletter.
Vi abbraccio forte, 
Christel

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